Mama Tandoori by Ernest van Der Kwast

Mama Tandoori by Ernest van Der Kwast

autore:Ernest van Der Kwast [Kwast, Ernest van Der]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788876382581
Google: GvGAii5nAuQC
Amazon: 8876382909
editore: Isbn Edizioni
pubblicato: 2011-04-15T16:15:24+00:00


LA MORTE DI NONNA VOORST

Ci sono anche i parenti olandesi, zii e zie olandesi, nonne e nonni, cugini e cugine. La famiglia Van der Kwast è caratterizzata da uomini pelati con i baffi, donne senza il senso dell’umorismo e bambini interessati al mondo degli insetti. In famiglia non c’è un solo ubriacone, un solo artista, un solo animo poetico.

Una volta un certo Arie van der Kwast ha perso il suo tempo a compilare un albero genealogico consultabile in internet. L’albero è pieno di nomi come Eugenia, Johanna e Helmerus. Mi viene da pensare a gente austera che considerava la vita come un dovere. Il piacere non esisteva o era vietato. Ad ogni modo: tra loro non figura un solo negro che abbia cantato inni alla vita. Neanche mezzo.

L’albero genealogico è formato da un tronco robusto da cui si dipartono rami dritti e irreprensibili, e a seguire una modesta quantità di ramoscelli. Nessuna crescita selvaggia, tutto Blut und Boden. Sangue e terra,dalle radici ai germogli. Siamo tutti fatti dello stesso legno bianco e inflessibile. Chi vede ballare un Van der Kwast pensa a una marionetta. Abbiamo i fianchi legnosi.

Ed ecco che sulla famiglia si abbatte mia madre, l’albero genealogico oscilla spaventosamente, i rami vecchi scricchiolano e gemono. È per via delle valigie pesanti, delle radio rotte, delle biciclette arrugginite. Le Johanne disseminate nei vari secoli reclamano un’ascia.

Una di queste Johanne è la mia bisnonna, la nonna di mio padre. All’inizio dello scorso secolo sposa un medico. È più giovane di lui di oltre quindici anni, ancora una ragazzina. Della sua biografia non c’è altro da segnalare. Ha più di ottant’anni la prima volta che mi mettono in braccio alla nonna. Le sue ossa mi pungono il sedere.

I miei fratelli e io la chiamiamo nonna Voorst perché abita a Voorst, nel residence per anziani dove negli ultimi tempi andiamo regolarmente a trovarla. Da quando soffre di demenza è diventata più docile.

Oltre alle ossa sporgenti ricordo i capelli di nonna Voorst. Non avevo mai visto capelli così bianchi prima, più bianchi della neve che era scesa abbondante durante lo spettacolare inverno del 1985. Avremmo dovuto aspettare più di dieci anni l’arrivo di un altro grande inverno candido, ma ormai non eravamo quasi più bambini. Basta crescere un po’ e il mondo perde la sua magia.

Andavamo a Voorst una volta al mese, percorrendo un lungo tragitto a bordo della nostra prima macchina, una Lada rossa con macchie di ruggine. A volte dal tubo di scappamento uscivano nuvole scure e un bel po’ di vicini dovevano accorrere per spingerla. Mia madre li capeggiava in hindi, ricorrendo alle stesse parole con cui un giorno avrebbe incitato me sui campi di atletica: «Jaldi! Jaldi!». Quando alla fine il motore si accendeva, i miei fratelli e io dovevamo salire al volo e si partiva tra gli scoppiettii del motore.

All’andata noi tre stavamo seduti sul sedile posteriore e passavamo il tempo giocando a Vedo vedo… Al ritorno ognuno di noi si sdraiava in un posto diverso, Johan sui tappetini, Ashirwad sul sedile e io sulla cappelliera.



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